Durante la guerra mancavamo di tutto, ma erano soprattutto i generi alimentari a difettare.
Le donne andavano a piedi o in bicicletta nei paesi agricoli di pianura a procurarsi, farina, carne, e, unico condimento reperibile sia pur con difficoltà, il lardo di maiale. La parola d’ordine usata per definire quella vietatissima pratica era “andare a vincere”. Essa diventava sempre più difficile e pericolosa per i controlli sempre più severi, per le obbiettive difficoltà di reperire qualcosa di commestibile ed infine per le frequenti scaramucce tra partigiani e tedeschi. I due ponti d Fener, quello sul Tegorzo e quello sul Piave, erano stati fatti saltare rendendo praticamente impossibile muoversi da un paese all’alltro.
C’era allora a Quero un giovane contadino, grande estimatore della musica, che voleva imparare da mia madre a suonare il mandolino, uno strumento che quest’ultima, pur non avendo mai studiato alcunché di musica, si dilettava a suonare fin da giovane, come si diceva allora, ad orecchio. Vedevo spesso il contadino portare a mia mamma ora un pollo, ora qualche chilo di farina da polenta e di patate o qualche altro prodotto dei suoi campi, tutti commestibili preziosissimi in quei tempi di grande carestia alimentare, per ottenere, in cambio, che gli scrivesse degli spartiti musicali, assai particolari, relativi alle canzonette in voga e che lo avrebbero aiutato nell’apprendimento dell’arte. Dopo aver stabilito tra loro due un sistema convenzionale per indicare tramite numeri, non la successione delle note musicali come stabilito dai fondamenti scolastici e che nessuno dei due conosceva, bensì quella relativa alla posizione che dovevano via via assumere le dita sulle corde del mandolino per riprodurvi i vari suoni, ecco mia mamma per ore ed ore suonare lo strumento lentamente ed interrompendosi continuamente per poter analizzare la posizione che, in modo istintivo, assumevano le sue dita e trascriverne su un foglio di carta ed in base alla citata convenzione, la successione. Devo aggiungere che gli spartiti erano molto apprezzati e generosamente ricompensati!
Strano modo, quello descritto, di approvvigionamento, ben diverso da quello del tempo attuale che vede le mamme impegnate nei supermercati a spingere enormi carrelli ricolmi di ogni genere di derrata alimentare. Il contrasto diventa ancora più evidente quando si consideri non solo la quantità di ciò che è oggi disponibile ma si vada ad esaminarne anche la qualità. Le mamme moderne non solo possono approvvigionarsi tranquillamente di tutto ciò che serve in cucina ivi comprese le cose più strane che vanno dai prodotti esotici a quelli coltivati fuori stagione ma possono addirittura acquistare, e lo fanno sempre più frequentemente, piatti già pronti o quasi pronti non solo perchè disponibili nei vari banchi di gastronomia ma anche perchè viene confezionata industrialmente tutta una serie di preparati semicotti di facilissimo uso. Pur non essendo un esperto della materia cito la farina da polenta precotta che supplisce alla lunga e laboriosa cottura tradizionale della cucina veneta con qualche minuto di acqua bollente, le patatine prefritte che evitano alla donna di casa la sbucciatura e gran parte dell’operazione di friggittura, per giungere, dopo aver ignorato una miriade di altri prodotti similari, all’aglio già triturato e la cipolla già soffritta che fanno risparmiare alla massaia anche i cattivi odori che emanano nel normale uso.
Un episodio che può dare un’idea dell’approvvigionamento alimentare di quei tempi, mi è accaduto in quegli anni a Venezia quando ero ospite nella abitazione dell’arch. Carlo Scarpa.
Tra le altre meraviglie la casa era una delle rare abitazioni veneziane con giardino annesso. E fu proprio in quel giardino, dove i passeri oltre che essere sempre in gran numero si facevano anche avvicinare da mè fino a consentirmi dei lanci veramente ravvicinati, che riuscii nella, fino allora insperata, impresa di colpire ed ammazzare con la mia fionda un passero. Tutto gioioso corsi in cucina con l’uccellino morto in mano per proporre alla signora Nini, madre di Tobia, di cuocerlo, spinto come ero dalla convinzione, impossibile da sradicare dalla nostra mente al tempo della storia che sto raccontando, della difficoltà di reperimento di cibo. La povera signora inorridita si mise ad urlare: portalo via! portalo via!
Concludo il ragionamento sull’alimentazione riportando alcune considerazioni che vanno per la maggiore ai nostri giorni nei quali si è soliti magnificare la bontà e genuinità dei cibi di un tempo, spesso privilegiando, a parole, la sana carestia alimentare di allora rispetto alla attuale abbondanza spesso descritta come origine certa di molte malattie moderne. La cosa è senz’altro vera e non si può far a meno di rilevare i pericoli che presentano molte derrate alimentari attualmente adoperate da tutti. Il problema della modificazione genetica oggi utilizzata per ottenere straordinari risultati qualitativi ma sopratutto quantitativi in certe produzioni agricole desta serie preoccupazioni in merito ai danni che essa può procurare alla salute pubblica. Se tutto ciò rappresenta un pericolo reale, di contro però non si può sottacere un altro aspetto importante e cioè quello della enorme quantità di alimenti che sono necessari per debellare una piaga che ancora esiste in alcune parti del mondo e cioè la fame, quantità non raggiungibile se non tramite detti mezzi moderni che ora sono normalmente usati e quelli, ancora più eclatanti, che deriveranno da nuovi studi e sperimentazioni. Se essa porta a soluzione un problema così importante come quello anzidetto, ben vengano dunque queste tecniche fatta salva la necessità di sempre più approfonditi controlli di qualità. Dovrà essere questo l’impegno costante delle nuove generazioni: non contrastare il progresso tecnologico in tutte le sue svariate articolazioni ma attenzione massima agli aspetti basilari, con priorità assoluta per quello inerente la salute pubblica ed al ruolo essenziale che vi gioca una sana alimentazione .
Un’altro accessorio che, nel periodo bellico che stò descrivendo, mancava totalmente dalle proprie case era il sapone. La mancanza era così sentita che si tentò di fabbricarlo in casa. La prova andò a vuoto. Vuoi per la scarsità di materia prima costituita dalle ossa dei pochi animali domestici, vuoi per l’incapacità degli operatori, non se ne ottenne che una sottile e informe tavoletta color marrone scuro che non assomigliava nemmeno al vero sapone.