La pesca dei pesci non era il solo divertimento che derivava dalla autentica passione per il materiale bellico che pervadeva noi giovani, passione della quale ancora oggi mi riesce difficile darmi una ragione.
Si trattava forse dello spirito di emulazione provocato dall’aver visto da vicino tanti episodi di guerra o forse dalla cultura fascista ricevuta nei primi anni di scuola? Io non credo a tale versione. Credo piuttosto che fosse dovuta al grande desiderio di cambiamenti che c’era in noi, alla netta sensazione della svolta epocale che stava per arrivare e al desiderio di impegnarci in qualcosa di nuovo, di valido che noi intravedevamo anche nei pericolosi esplosivi. Vista a posteriori questa spinta verso il grande, diffusasi rapidamente e a cui va attribuito, secondo mè, quel fenomeno conosciuto come il miracolo economico del dopoguerra, rappresenta esattamente il contrario del sentimento che alberga, nel tempo attuale, in quella moderna gioventù che, potendo disporre fin dalla nascita di tutto, non trova alcuno stimolo e si rifugia nei divertimenti insani, spesso nella droga. Io credo che sia necessario ritrovare, valorizzare questo desiderio di fare !.
La grande passione per gli esplosivi ha spinto molti giovani dell’epoca alla ricerca dei vari arsenali, allo scambio di notizie, ed infine ad organizzare spettacolari scoppi in aperta campagna oppure entro ex fortificazioni militari, con le bombe così recuperate. Il percussore che, nell’uso normale, le avrebbe fatte esplodere al momento del loro impatto con il bersaglio, doveva allora essere sostituito da una miccia che arrivasse fino al cuore della bomba cioè al detonatore con una procedura manuale tutt’altro che semplice visto e considerato che presupponeva lo smontaggio della spoletta entro la quale era alloggiato il percussore medesimo.
Si può aver un’idea della delicatezza e pericolosità di tale operazione considerando quello che accade ai nostri giorni quando gli artificieri, trovato un ordigno bellico, per effettuare una operazione simile a quella quì indicata ordinano lo sgombero preventivo della popolazione residente in una vasta zona circostante e successivamente si prodigano, con estrema cautela ed utilizzando appropriate attrezzature, a svitare la sensibilissima spoletta. Nel nostro caso era solo un ragazzo poco più che quindicenne che metteva a repentaglio la propria vita in quella specie di roulette russa che era lo svitare a mano la spoletta medesima. In certi casi era necessario aiutarsi con piccoli colpi di martello avendo cura di orientarli in modo da evitare, nella maniera più assoluta, che avessero a prodursi delle scosse longitudinali dell’ordigno, sicura fonte di tragiche esplosioni. Una volta estratta la spoletta la bomba diventava totalmente innocua e le successive operazioni di inserimento della miccia e di deflagrazione uno scherzo.
La vicenda però si complicava quando, per un qualche difetto dell’ordigno o della miccia, non accadeva proprio nulla e quest’ultima arrivava a spegnersi senza che avesse luogo la tanto bramata esplosione. Allora bisognava ricuperare il materiale bellico e farlo sparire. Lascio a chi legge immaginare quanto fosse pericolosa quest’ultima operazione fatta con l’atroce dubbio che l’esplosione potesse avvenire in ritardo con le conseguenze che è facile immaginare. Gli interventi più eclatanti e pericolosi venivano eseguiti, per evidenti motivi di segretezza e di sicurezza ed anche per il coraggio necessario, in solitaria da due o al massimo tre partecipanti un po’ più grandicelli di noi, allora solo tredicenni, e che, al corrente dell’imminente impresa, restavamo tappati in casa onde costruirci un valido alibi nei confronti dei genitori che avevano subodorato qualcosa. A scoppio avvenuto e chiaramente percepito in tutto il paese, era necessario superare senza delazione alcuna il fuoco di fila di domande ben consci che erano sopratutto i nomi di Vico ed Albino, i due dinamitardi più spericolati e spesso interrogati dai carabinieri, che non dovevano mai essere pronunciati.
Non tutti i giovani uscirono indenni da questi giochi estremamente pericolosi. Giovanni, ad esempio, ci rimise tutte le dita di una mano. Ciò non gli impedì, negli ultimi tempi di funzionamento del cinema Prealpi, di diventare operatore della macchina da proiezione: nonostante la grave menomazione riusciva ugualmente, con il moncone del braccio, a ruotare la manovella e portare la macchina al giusto numero di giri mentre tutte le altre operazioni necessarie per l’inizio della proiezione le compiva con la mano sinistra. Per il montaggio della pellicola, che in ogni caso doveva essere compiuto con tutte le modalità che saranno descritte, riusciva con il moncone a ruotare la manovella di riavvolgimento e, con l’indice ed il pollice della sinistra che fortunatamente era ancora provvista delle cinque dita, a verificare lo stato dei bordi del film di celluloide.