Un’idea della situazione economica di Quero nell’immediato dopoguerra è data dall’esiguo numero di automobili possedute dagli abitanti e, in genere, dalla scarsità di mezzi di trasporto di cui si poteva disporre nonché delle strane abitudini che, a tale riguardo, erano in atto in paese.
Piero eseguiva noleggio da rimessa di una Fiat Balilla qualche anno più tardi affiancato da Duilio che disponeva di una millecento, sempre Fiat.Il veterinario, papà del giovane Gigi di cui ho già parlato, possedeva una decappottabile. Non esistevano in comune altre vetture essendo quelle della Tecla, venditrice ambulante di tessuti, di Giovanni, commerciante di bestiame, e di qualche altro personaggio che esercitava il commercio ambulante, state trasformate in camioncini mediante il taglio e asporto della parte posteriore. C’era poi Carlo il geniale meccanico di cui ho parlato al cap. 2.15.3, proprietario di una vettura ben presto trasformata mediante installazione del cambio automatico di sua invenzione e di un camion funzionante a gasogeno, una specie di enorme bidone montato subito dietro la cabina di guida e di cui erano dotati gli autocarri essendo il normale carburante introvabile o comunque troppo costoso per le modeste disponibilità economiche dell’epoca. Abituati come siamo ora a rifornirci della benzina necessaria per i nostri mezzi di trasporto, senza far troppo caso al suo prezzo che aumenta vertiginosamente di giorno in giorno, difficilmente riusciremmo ad immaginare quali erano le difficoltà incontrate in quel tempo da Carlo ed in genere da tutti i camionisti per ricavare da comune legna da ardere il gas necessario per il motore! La procedura era basata sulla combustione in assenza quasi totale di aria che portava alla produzione dell’ossido di carbonio, quello stesso che esce dalle stufe a legna o a carbone quando il tiraggio del camino è difettoso e che porta a tragiche conseguenze per i malcapitati abitanti della casa riscaldata in tale modo e spesso trovati morti nel sonno. Il gas così prodotto veniva accumulato in un enorme bidone per essere poi immesso nel motore del camion al momento del bisogno in sostituzione del carburante liquido. Bisognava quindi avviare la preparazione molto prima della partenza per poi ottenere risultati assai modesti come dimostrato in maniera evidente dalla salita di Quero che, come descrivo al cap. 2.2.7, i camion non riuscivano a percorrere che a passo d’uomo offrendo ai ciclisti una comoda occasione per farsi trainare fino al paese. La situazione reale era ancora più grave in quanto, per economizzare ulteriormente nelle spese, veniva normalmente usato un combustibile ancora più povero della legna e cioè i tutoli del granoturco, i cosiddetti “muzoi”! Da notare il notevole peso ed ingombro dati da voluminoso impianto gasogeno e dal carburante di scorta costituito da una catasta di legna o da un cumulo di “muzzoi”, come dire che l’attività principale svolta dal camion consisteva nel trasportare sé stesso ed il combustibile che gli era necessario per muoversi!
L’inconveniente sì rivelò ancora più grave quando, pressati dalla necessità, si tentò di adottare lo stesso sistema anche per le automobili. Ingombro e peso del gasogeno da una parte e minor resa meccanica del motore rendevano le vetture quasi inutilizzabili. In pratica esse sono entrate a far parte della storia dell’automobile senza aver mai percorso alcun viaggio di una certa consistenza.
Un altro particolare curioso caratterizzò la motorizzazione del primissimo dopoguerra.
Si presentò allora per il capoluogo di Quero l’unica occasione per poter contare al suo interno e precisamente in Piazza Marconi su una, sia pur del tutto particolare, stazione delle “Ferrovie dello Stato” in grado di raccogliere e trasportare i viaggiatori.
Era quella infatti la denominazione dei camion militari, appartenuti all’esercito americano, e che, naturalmente su percorso stradale, sostituirono per circa un anno i treni ferroviari nell’intero tratto da Calalzo a Venezia in attesa che venissero ripristinati i binari e tutte le attrezzature ferroviarie danneggiate dai bombardamenti. I passeggeri, una volta saliti sul cassone posteriore, viaggiavano stando seduti sulle stesse panche in legno che avevano trasportato la truppa americana in lungo ed in largo per l’Italia. La cosa non era tanto agevole sopratutto per le persone anziane costrette ad arrampicarsi così in alto tramite una ripida scaletta costituta da una serie di fori praticati nella carrozzeria, a causa del freddo intenso che si stabiliva d’inverno nell’abitacolo protetto soltanto da un telone ed infine per l’esiguo numero di posti disponibili. Ne è buon testimone il sottoscritto che, dovendo recarsi settimanalmente a Treviso per frequentarvi l’unica scuola per geometri allora esistente in zona, dovette usufruire di tale mezzo di trasporto arrivando alla conclusione che il fatto di poter disporre della stazione vicino a casa e quindi di poter evitare il percorso di avvicinamento alla stazione ferroviaria vera e propria sita a tre chilometri di solito percorsi a piedi, non compensava certamente i disagi di un viaggio compiuto in quelle condizioni.
Erano allora disponibili vetture e camion precedentemente usati nella guerra dagli americani e che si potevano acquistare nei campi ARAR a modico prezzo per intraprendere nuove promettenti attività. Una di queste, creata dal querese e simpatico Andrea, era il commercio del fieno necessario per l’alimentazione invernale delle mucche da latte presenti nelle numerose stalle sorte nel dopoguerra in molti paesi di montagna come Quero, e resa possibile grazie ad un camion Dodge di provenienza bellica, con il quale Andrea si approvvigionava presso gli agricoltori dei lontani paesi di pianura. Nelle stalle venivano allevate sopratutto mucche da latte la cui caratteristica saliente, ben nota ad Andrea che per il commercio che svolgeva ne era un assiduo frequentatore, era quella di possedere una sacca delle mammelle destinata a contenere il latte prima della mungitura ed in dialetto chiamata “scarp”, che doveva essere il più grande possibile in quanto erano le sue dimensioni a fornire l’indicazione della sua produttività di latte. Un giorno Andrea volendo convincere Giovanni che iniziava anch’egli il commercio del fieno ad acquistare nel campo ARAR un camion Dodge uguale al suo, per vincerne la titubanza finse di soppesare con una mano il differenziale assai voluminoso del camion e gli disse: prendilo non vedi che bello “scarp”che possiede questo camion!
Ricordo come anche nei cantieri di costruzione di impianti idroelettrici nei quali ha lavorato anche chi scrive, la vettura più usata fosse la jeep originale proveniente dai campi ARAR un mezzo straordinario che, grazie alla trazione sulle 4 ruote, alla possibilità di ridurre le marce, ed infine a quella di poter bloccare i differenziali, era in grado di percorrere qualsiasi strada o anche di viaggiare fuori strada.
Alcuni anni più tardi la motorizzazione, che in poco tempo crescerà in maniera vertiginosa fino ad arrivare agli attuali eccessi con strade, piazze ed in pratica ogni area libera letteralmente invase da un numero spropositato di automobili, iniziò a manifestarsi con un veicolo che per primo fece intuire a noi tutti l’importanza e la comodità del mezzo individuale di trasporto cioé la motocicletta. Ed ecco un significativo esempio di come in quegli anni ci si spostava da un paese all’altro. Ragazzo ventiquattrenne lavoravo allora in Val di Fiemme nel cantiere di costruzione della diga di Stramentizzo sul torrente Avisio quale responsabile del suo tracciamento topografico. Per il viaggio settimanale da Quero a Molina di Fiemme usavo la mia moto 125 a due tempi con la quale anche in pieno inverno, con la sola eccezione di un breve periodo di chiusura del cantiere, dovevo superare il Passo Rolle con tutti i problemi dati dal freddo e dalla neve che vi si trovava. Il lunedì mattina partivo da casa alle tre e mezza dovendo alle sette e mezza essere già al lavoro e, per vincere il freddo, vestivo due paia di calzoni, un paltò ed un grosso impermeabile da cantiere. Erano soprattutto le mani a soffrire il freddo tanto da costringermi, ogni tanto, a fermarmi per riscaldarle appoggiandole, protette dai guanti, contro il cilindro rovente della moto. Un giorno nel tratto di strada tra Quero e Feltre, trovando le sbarre del treno chiuse e per evitare di restarmene al freddo ad aspettare la riapertura del traffico, passai sotto la barriera di chiusura commettendo una grave infrazione subito rilevata dalla polizia stradale che, nonostante l’ora mattutina di un freddo lunedì invernale, se ne stava al calduccio nella gazzella ferma al di là del passaggio a livello. Fui fermato dai vigili i quali mi chiesero libretto e bollo della moto che, disgraziatamente, avevo dimenticato a casa. A quel punto queste furono le parole del poliziotto: hai attraversato il passaggio a livello chiuso, sei senza libretto e senza bollo della moto, cosa ti meriti io ti faccia?. Questa la mia risposta: lasciarmi andar via subito perché con questo freddo intenso stò letteralmente cadendo a pezzi e devo ancora attraversare il passo Rolle per essere puntuale in cantiere alla sette e trenta! Le mie parole colpirono il sentimento dei due poliziotti che immediatamente mi lasciarono, impunito, proseguire il mio viaggio con queste parole: vai via, vai via che non ti voglio più vedere!
Una curiosità. Quando, nel 1953, divenni il fortunato possessore di una Fiat 500 (la famosa topolino), la mia moto da 125 centimetricubi ceduta ai fratelli Curto, costituì il primo mezzo di trasporto della omonima ditta querese di esecuzione di impianti di riscaldamento ancora oggi attiva, ovviamente con potenzialità , caratteristiche e mezzi totalmente diversi.
Un altro episodio curioso inerente la motorizzazione di quei tempi, riguarda la gara per automobili da corsa che ogni anno si svolgeva tra Feltre e Croce d’Aune e cui noi giovani non mancavamo di assistere in quanto vi partecipava anche Secondo, l’elettricista tuttofare da Quero, quale pilota di soccorso e meccanico di Zuliani, il titolare della cartiera di Vas e grande appassionato di automobili. L’eccezionalità della loro partecipazione alla corsa era data dal fatto che, in tale difficile impresa, usavano una vettura da corsa autocostruita a Vas con mezzi di fortuna. Il telaio era quello di una comune vettura Fiat al quale Secondo aveva applicato il motore di una grossa moto militare che i tedeschi durante la ritirata avevano abbandonato a Quero. Il vero capolavoro era la carrozzeria fatta con lamiere di alluminio con cui la vecchia Fiat era stata rivestita esternamente. Penso che, ben consci del dispendio di mezzi e di tecnologia ai nostri giorni richiesta alle case costruttrici delle macchine da corsa, si faccia fatica a credere che cinquant’anni addietro ci fosse qualcuno che partecipava alle gare con una vettura approssimativa come quella indicata.
Ciò risulta confermato dai risultati davvero deludenti della partecipazione di Zuliani e Secondo alla gara: dopo pochi chilometri dalla partenza la loro vettura era immancabilmente ferma per guasto e a noi spettatori che aspiravamo ad assistere almeno a qualche piazzamento decoroso della vettura con Secondo seduto di fianco al pilota, non fu mai dato di poterne vedere almeno il passaggio davanti alla nostra postazione.