Mio padre era proprietario di una casa di abitazione in posizione centrale del capoluogo, a confine con la via Garibaldi, danneggiata dalla prima guerra mondiale e che egli contava pian piano di restaurare al fine di stabilirvi, in un futuro non si sa quanto lontano, la residenza fissa della famiglia. A tale scopo aveva sistemato alcuni vani ma la maggior parte del lavoro era tutta da fare. Mancavano le scale di collegamento tra i vari piani, mancavano i serramenti e gli impianti idrico ed elettrico. Vedremo alla fine della nostra storia come questo sogno troverà comunque il suo coronamento sia pur attraverso vicende alterne e travagliate e, ad avviso di chi scrive, non prive di interesse e di validi insegnamenti.
L’edificio, per la sua ubicazione in centro al paese e per le sue dimensioni pari a circa m. 7 x 17, venne scelto da Livio per ricavarvi la sala spettacoli. Fatto senza tanti problemi un accordo di affittanza con il proprietario, bando alle ciance e, senza progetti, calcoli, verifiche statiche e senza tutte le amenità del genere oggi necessarie per eseguire qualunque opera edilizia, si diede il via ai lavori. Nel paese c’erano ottimi artigiani pronti a darsi da fare. Mio padre stesso, falegname, si rese disponibile per l’esecuzione delle parti lignee di cui, come vedremo, l’erigendo cinema risulterà particolarmente ricco. In men che non si dica l’edificio venne svuotato di tutta la parte interna: fatte sparire le tramezze che lo suddividevano in tanti vani e, cosa di una certa gravità, via anche il muro trasversale portante che, dal punto di vista statico, svolgeva la duplice funzione di rinforzo di tutta la struttura e di sostegno della travata in legno che costituiva l’impalcato del primo piano. Si decise di conservarne solo una piccola parte a mo’ di lesena di rinforzo, ma, subito dopo, anche la lesena venne demolita perché avrebbe impedito, di lato, la vista dello schermo, considerato che il locale sarebbe stato spesso stipato fino all’inverosimile di spettatori.
In definitiva le murature portanti che restarono in piedi per costituire un’unica, grande sala erano solo quelle perimetrali poste ai quattro lati del rettangolo di base. Rappresentavano l’unica reminiscenza della costruzione originaria che aveva resistito alle bombe della prima guerra mondiale: un muro senza validi cordoli di rinforzo, interamente in pietrame e costruito con la malta di calce che a quel tempo era il solo legante disponibile. L’unica struttura alla quale non venne apportata alcuna modifica fu il tetto, costruito subito dopo la fine della prima guerra mondiale, e costituito da robuste capriate in larice poggianti direttamente sui muri portanti perimetrali e da orditura portante i coppi anch’essa in larice.
Un minimo di sicurezza che si pensò di attuare consistette nella apertura di alcune porte di uscita di emergenza. Ne vennero ricavate tre lungo uno dei due muri laterali ma, essendo la sala a al piano rialzato, fu necessario costruire una terrazza esterna che le collegasse, tramite una breve scalinata, con Via Garibaldi. Il lavoro fu presto fatto mediante una soletta in cemento armato sostenuta da pilastri in mattoni ma, scarseggiando i tondini di ferro, per l’armatura del cemento armato vennero impiegati prevalentemente reticolati ricuperati da vecchie recinzioni. Nessun commento sulla reale solidità di un manufatto del genere destinato, in caso di emergenza, a sfollare gli spettatori. Nella realtà non sarà mai utilizzato con questo intento.
Sotto la terrazza, nella sua parte terminale opposta alla Via Garibaldi venne ricavato un piccolo locale, praticamente un bugigattolo con porta, finestrino privo di serramento ed un pavimento in calcestruzzo con un foro centrale e sottostante buca di raccolta scavata nel terreno. Il tutto costituì i servizi igienici del cinema.
I solai esistenti, tutti in legno, erano tre. Quello del piano rialzato, rimase inalterato nello stato in cui si trovava e venne a formare la platea del cinema, sopportandone tutto il carico. Il solaio del primo piano venne demolito per la metà di fondo posta contro lo schermo mentre l’altra metà, lato via Garibaldi, doveva costituire la galleria del cinema con un compito grave: sopportare il carico degli spettatori e quello, concentrato, della cabina di proiezione. Le modalità seguite nella esecuzione dei lavori necessari allo scopo, costituiscono un piccolo capolavoro. Con la demolizione del muro trasversale di cui si è già parlato, era infatti venuto completamente a mancare l’appoggio di una delle due testate delle travi in legno del solaio in questione. Esso venne prontamente sostituito da una putrelle in ferro della lunghezza di circa 7 m., trovata presso il locale raccoglitore di ferri vecchi ed inserita da muro a muro. A questo punto era necessario collaudare la struttura cioè verificare se, di fatto, essa fosse in grado di sostenere il carico degli spettatori. Un’operazione del genere troverebbe oggi il suo normale svolgimento con la posa di una o più grandi vasche in materiale plastico flessibile che, riempite d’acqua, costituiscono il carico di prova, nel mentre al di sotto vengono misurati con apparecchiature di precisione chiamati estensimetri i cedimenti onde verificare se sono contenuti entro la tolleranza ammissibile. Il collaudo dell’opera, venne invece eseguito “in famiglia” ponendo alcune persone affiancate a saltellare nella estremità del solaio, ma balzò subito agli occhi la precarietà dell’opera per cui si rese necessario rimediare in qualche modo. Il problema venne agevolmente risolto dal falegname addetto alle parti lignee (mio padre) che costruì un parapetto in legno di delimitazione della galleria verso la sala composto da una trave superiore che avrebbe costituito il comodo e tondeggiante appoggio degli spettatori della prima fila della galleria quando si affacciavano per osservare la sottostante platea ma soprattutto da due robusti puntoni inclinati aventi, a prima vista, una mera funzione estetica forse di dubbio gusto, ma in realtà, atti a trasformare il parapetto in una vera e propria capriata in legno che, collaborando con la sottostante putrelle in ferro, irrigidiva efficacemente il solaio e che consentì nella realtà alla struttura di svolgere egregiamente il proprio compito in tutti gli anni di esercizio cinematografico. In poche parole eravamo in presenza di una struttura tanto importante sostenuta, di fatto, da un parapetto in legno.
Nella parte centrale del solaio in argomento venne appoggiata la cabina di proiezione cioè un piccolo vano formato da una grossa e pesante soletta di calcestruzzo e da tre lati da un sottile muro di laterizi forati. Il quarto lato era il muro perimetrale sulla Via Garibaldi. L’accesso alla cabina avveniva direttamente dalla galleria spettatori. Occorrendo un’uscita di sicurezza per il personale, vi si provvide molto semplicemente aprendo una porticina nel muro che dava direttamente su via Garibaldi ed applicandovi una scaletta verticale in ferro a pioli dell’altezza di circa quattro metri necessaria per discendere sulla pubblica via.
Il terzo solaio, fin dalle origini privo del tavolato costituente il piano di calpestio, venne rivestito inferiormente da fogli di faesite cioè da una specie di polvere di legno pressata, dello spessore di qualche millimetro e di gradevole color marrone, in modo da formare la soffittatura di tutta la sala che la separava dalla soprastante soffitta praticabile attraverso una piccola botola situata all’interno della cabina di proiezione. Da qui era possibile, facendo gli equilibristi da una trave all’altra, percorrere tutta la soffitta fino alla fessura del soffitto che si trovava in aderenza allo schermo sulla parete di fondo, fessura che fungeva da sfiato trasversale di tutta la sala. Inutile dire che, in tale esercizio, non bisognava assolutamente perdere l’equilibrio pena una caduta fino al pianoterra, considerata la scarsa portata della soffittatura in faesite. Nel descritto sottotetto vennero depositati, attraverso gli anni e con estrema incuria, gli oggetti più disparati ma tutti infiammabilissimi: montagne di vecchi manifesti dei film, spezzoni di pellicola inutilizzati, qualche sedia rotta ecc., ecc. il che contribuì non poco, come vedremo, al rogo finale delle strutture.
Dalla fessura di fondo pendeva, di tanto in tanto, la pubblicità dei più importanti film, formata da grandi lettere in legno colorato che sovrastavano lo schermo per tutta la sua larghezza.
Restava solo da costruire la scala di accesso alla galleria. Per la bisogna risultò sufficiente erigere un piccolo corpo di fabbrica sporgente da quello principale e a confine con la pubblica via. Vi si trovava un grosso pilastro di recinzione. E’ stato questo manufatto, nato per tutt’altro scopo e, in linea teorica, non atto a sostenere grandi carichi, a formare l’angolo portante dell’intero ampliamento, scala compresa e anch’essa, come tutti gli altri orizzontamenti, in legno. Ancora una volta la teoria venne smentita dalla pratica: il pilastro ha saputo superare ogni prova ivi comprese le fiamme che interessarono l’intero edificio uscendone indenne tanto che esso continuò per alcuni decenni a sostenere il cancello di accesso alla proprietà.
Nel sottoscala venne ricavata la biglietteria del cinema.
Nella parete di fondo della sala, dove era stato installato lo schermo, esisteva una canna fumaria. L’ideale per ricavarvi una piccola nicchia e piazzarvi l’altoparlante che restò nascosto dalla tela dello schermo dando l’impressione che la voce dei protagonisti uscisse dall’immagine che li rappresentava. La canna servì per farvi passare i cavi di collegamento con la cabina di proiezione.
Inutile ribadire che tutte le opere indicate venissero costruite senza progetto alcuno, senza alcuna verifica di stabilità ma solo fidando nel buon senso e nella iniziativa di bravi artigiani presenti in loco.
E ora l’arredo. Era costituito dalle tradizionali sedie in legno con impagliatura classica allineate l’una alle altre ma completamente libere non esistendo alcun modo di fissarle tra di loro o al pavimento. Si deve aggiungere che, nelle serate di grandissima affluenza di pubblico, per maggiorare la capienza della sala si faceva ricorso alle sedie della chiesa, chieste in prestito al parroco ed identiche come tipologia, prontamente ricuperate da volonterosi giovani che le trasportavano a spalla dopo averle infilate in una lunga asta di legno. Per la loro sistemazione in sala si provvedeva, vista e considerata l’abitudine di mantenerle libere, ad avvicinarle le une alle altre fino a portarle tutte a contatto tra di loro e ad occupare tutti gli spazi liberi, corridoi di passaggio compresi senza preoccuparsi minimamente della mancata sicurezza che in tal modo veniva a crearsi per i casi di sgombero urgente della sala. Inutile far notare, a tale riguardo, il pericolo d’incendio dato dalla presenza di molti elementi in legno. Da rilevare invece, come la elevata densità di spettatori costituisse non un inconveniente ma un motivo in più, ben visto da tutti giovani ed anziani, per avvicinali fisicamente e spiritualmente l’un l’altro e quindi consentir loro di riprendere o migliorare quei rapporti che la guerra aveva per lunghi anni interrotto. Durante gli intervalli della proiezione, a bella posta piuttosto prolungati, la sala era infatti pervasa dall’intenso e festoso brusio delle animate conversazioni che contribuivano efficacemente a completare il piacere della indimenticabile serata trascorsa in lieta compagnia.
Ne risultava anche un altro importante beneficio. Per garantire una buona acustica, le moderne sale di spettacolo sono dotate di sofisticati e costosi pannelli fonoassorbenti alle pareti e ai soffitti, tendaggi, pavimenti in moquette ecc. ecc. Tutto questo nel Prealpi era validamente sostituito da un elemento che, senza alcuna spesa, dava lo stesso ottimo risultato : la citata folla di spettatori che gremivano sia la platea che la galleria e che con le loro persone ed i loro abiti costituivano il migliore elemento fonoassorbente che, per quei tempi, si potesse immaginare! Lo dimostra l’ottimo ascolto di dialoghi e della bella musica di cui si poteva godere durante la proiezione favorito anche dall’assoluto silenzio che regnava in una sala colma di spettatori affascinati, letteralmente rapiti dalla scena che lo schermo stava diffondendo.
Chiaramente ad un esame anche sommario di quanto descritto nessuna delle strutture, delle attrezzature e degli accessori costituenti il cinema Prealpi sarebbe risultata atta a svolgere il compito affidatole né dal punto di vista della stabilità né da quello della sicurezza in caso di incendi o comunque di necessità di evacuazione rapida del pubblico dalla sala.
Staticamente a posto non poteva essere considerato il muro perimetrale privo come era di validi cordoli di irrigidimento e per giunta mancante dell’unico collegamento trasversale già demolito, muro che doveva sopportare il notevole carico trasmesso dagli orizzontamenti descritti, soprattutto tenendo presente che ci trovavamo in zona dove sono frequenti i terremoti. Non lo erano i solai in legno nati come struttura per casa di abitazione e sicuramente non adatti a portare il carico della folla compatta che si sarebbe potuto avere, e che nella realtà si ebbe come vedremo più avanti, nella sala cinema. Assolutamente precaria risultava, in detta analisi, la situazione del solaio della galleria. Anche questa era una struttura destinata in origine a civile abitazione. In sede di trasformazione le venne tolto, con la demolizione del muro interno come detto, uno dei due fondamentali appoggi, per sostituirlo con una struttura leggera e approssimativa come il parapetto con sottostante poutrelle che aveva tutte le caratteristiche meno quella di poter sostenere il carico trasmessole dall’intera galleria completa della cabina di proiezione che vi gravava sopra. Si è già detto della scala di accesso alla galleria e del corpo di fabbrica che la conteneva, anch’essi assolutamente precari.
Si potrebbe aggiungere che qualche anno più tardi alla muratura portante venne arrecata un’altra offesa. Infatti la decisione di effettuare proiezioni estive all’aperto e la conseguente necessità di far uscire le immagini luminose all’esterno della sala, comportò, come sarà più avanti spiegato, la creazione di un’ampia apertura con piattabanda superiore di sostegno costituita molto semplicemente da una trave in legno, che non poté che contribuire, senza che ce ne fosse senz’altro bisogno, a peggiorare la statica della muratura portante.
Una nota positiva in questo pessimistico quadro era data dal materiale ligneo di cui erano costituite le varie strutture in quanto si trattava di ottimo e stagionato larice nostrano in grado di far miracoli per quanto riguarda la sua portanza nei confronti degli elevati carichi che doveva sopportare, ma che, di contro, costituì una formidabile e pericolosissima esca per l’incendio che, alla fine non mancò di interessarlo.
Un commento a parte meriterebbero, ma è meglio sorvolare, i servizi igienici a disposizione del pubblico che, si è già detto, erano costituiti da un rudimentale piccolo vano privo di apparecchi di sorta e privo di acqua corrente.
In definitiva appare chiaro come non sussistessero affatto le caratteristiche per rendere almeno accettabile la sala come luogo di ritrovo ai molti spettatori che lo avrebbero frequentato. Al contrario sono molti gli elementi che contribuivano, assieme a quelli già indicati, a classificarla come la meno sicura per fungere da cinema. Essa, nonostante tutto, assolse benissimo il proprio compito senza che accadesse mai alcun inconveniente ma anzi fornendo immagini proiettate di buona qualità, assolutamente prive di tremolii e molto brillanti e nitide e con un’acustica che, pur se assolutamente casuale in quanto non erano sicuramente stati fatti degli studi particolari né adottati accorgimenti speciali, anch’essa perfetta.
La dimostrazione della precarietà dell’insieme venne più avanti documentata da un furioso incendio che ha avuto però luogo quando nessun danno ne poteva derivare, come vedremo più avanti. Vedremo anche la morale che se ne potrà trarre.