Ho già spiegato come nei mesi che seguirono la fine della guerra si trovassero dappertutto dei veri e propri arsenali di armi. Da uno di questi depositi un bel giorno riuscimmo a prelevare un moschetto da guerra tedesco, un Mauser che portammo subito da un bravo artigiano di Cornuda per ottenerne, mediante alesatura della canna, un ottimo fucile da caccia calibro 36.
Nei giorni seguenti si poteva assistere alla passeggiata di due giovani (io e mio cugino Nino) che attraversavano disinvoltamente il paese ma che nascondevano, in realtà, sotto i larghi gambali delle” braghe alla zuava” un Mauser smontato in varie parti. Appena lasciato l’abitato montavano il tutto ed aveva inizio in campagna l’orrenda carneficina di tanti poveri uccellini. L’episodio che non si cancella dalla mia mente si riferisce al primo colpo di fucile sparato per verificare l’efficacia della nostra arma. Si trovava allora nella campagna il più grazioso ed il più piccolo tra gli uccellini: lo scricciolo. D’inverno era possibile ammirarlo da vicino in quanto soleva giocare restando appeso per il becco ai rami dei cespugli privi di foglie.
Sull’origine del suo secondo nome, ” reuccio” e in dialetto “reguz”, ho fisso in mente un racconto della mia maestra delle elementari che merita di essere riportato. Ecco la storiella.
Un tempo gli uccelli avevano deciso di nominare quale loro re quello di loro che sarebbe riuscito a volare più in alto di tutti gli altri. L’aquila impiegò tutte le sue forze per raggiungere un punto altissimo dove mai né lei né nessuno altro era arrivato. Sicura di aver concluso da vincitrice la gara ed avendo esaurita tutta la sua energia, iniziò la discesa quando vide uno scricciolo uscir dalle sue piume, dove, così piccolo, era rimasto nascosto durante tutto il faticoso volo. Lo scricciolo, con un veloce balzo, volò alcune decine di metri più in alto vincendo la gara e finendo per essere il reuccio di tutti gli uccelli. La morale della storiella è chiara: per riuscire non basta la forza bruta ma occorre anche l’intelligenza.
E’ stato proprio ad uno scricciolo, al citato reuccio di tutti gli uccelli, col suo caratteristico “becco gentile” e con il codino rivolto verso l’alto, che capitò la ventura di trovarsi sotto il tiro dei due abusivi e spietati cacciatori che ebbero l’ardire di gioire quando poterono constatare che del povero esserino, disintegrato da una scarica di pallini da distanza molto ravvicinata, non restava praticamente nulla.
A questo punto traggo da tutta la vicenda la mia morale: E’ vero che per riuscire occorre l’intelligenza ma c’è anche un altro fattore determinante e cioè quel pizzico di fortuna senza la quale si corre il rischio di far la stessa orrenda fine che, nonostante la sua intelligenza, ha fatto lo scricciolo.
Da notare come la grande disponibilità di materiale bellico, in dettaglio detonatori e polvere da sparo provenienti dal Mauser, ci consentisse di ricaricare più volte le stesse rosse cartucce che usavamo per la caccia, procurandoci evidenti economie nell’acquisto delle munizioni. A tale riguardo, se nessun problema poteva dare il trasferimento della polvere da sparo dalla cartuccia bellica a quella per la caccia, tutta la difficoltà nasceva dal detonatore che bisognava estrarre, ovviamente senza farlo esplodere, dal fondo della cartuccia del mauser trattandosi di un dischetto del diametro di circa soli 3 millimetri e spessore di mezzo millimetro altamente esplosivo!. La nostra fervida iniziativa risolse questo problema con l’acqua con cui riempivamo la cartuccia ed alla quale imprimevamo una forte pressione infilando, con una martellata, un ferro nella estremità opposta che avevamo liberata dalla pallottola. L’attrezzo che si prestava alla perfezione era il perno di un pedale di bicicletta che aveva una estremità tronco conica dell’esatto diametro della bocca della cartuccia. I detonatori uscivano istantaneamente dalla cartuccia e, dopo averli lasciati ad asciugare al sole, erano pronti per essere inseriti nella nuova sede. Anche i pallini, un po’ rudimentali ma efficienti, erano costruiti in casa facendo cadere su una bacinella d’acqua del piombo fuso preventivamente fatto passare attraverso i forellini predisposti in un apposito lamierino.
Alcuni anni dopo Nino diventato direttore della Società dei telefoni prima della provincia di Belluno e poi di quella di Udine si trovò al centro di due drammatici avvenimenti come la tragedia del Vaiont ed il terremoto del Friuli dando prova, in quei frangenti del tutto eccezionali, delle grandi sue doti di organizzatore nel ripristino del servizio telefonico.
Alla formazione di tali doti non sono estranee le esperienze giovanili descritte, con tutte le originali trovate che adottavamo per risolvere i vari problemi, ivi compresa anche quella meno ortodossa cioè l’uso di esplosivi. Molto spesso derivano proprio dall’esame critico delle proprie cattive azioni gli insegnamenti più utili e non si può certo dire che i rischiosi esperimenti a base di esplosivo facciano parte di quelle buone!.
La passione di Nino per il rischio, che non lo abbandonerà mai, lo porterà a prematura morte a seguito di un incidente sciatorio. Ora riposa nel cimitero di Quero dove è in bella vista una sua foto ripresa mentre sta adoperando un attrezzo che è il simbolo del suo maggior impegno: il telefono.