Nel mio sito “TUTTOACQUEDOTTI – REALTÀ’ E FUTURO” ho pubblicato spesso articoli riguardanti errori comuni a molti acquedotti ( vedansi ad esempio “ACQUEDOTTI ITALIANI : TRADIZIONI O ANOMALIE?” oppure “ACQUEDOTTI – ESEMPI E POMPOSE AUTO CELEBRAZIONI ERRONEE”.
Con questo articolo vorrei ora approfondire ulteriormente la grave circostanza di errori nella gestione di acquedotti importanti. Quello cui faccio riferimento specifico è quello dell’Isola d’Elba che tra l’altro presenta difficoltà particolari dovute alla sua insularità ed alla scarsità di fonti locali comprovata dalla totale assenza nell’Isola di fiumi a flusso idrico continuo.
Ciò che mi colpisce fortemente è l’apparire frequentemente sui media locali un’affermazione che suppongo corrispondente alla realtà dei fatti e che in sostanza asserisce come la gestione dell’acquedotto provveda in tutti i periodi invernali a chiudere tutti i pozzi esistenti nelle aree di pianura poste a basse quote sul mare . Quello che ritengo errato è la motivazione a seguito della quale viene operata tale chiusura e che è la seguente: i pozzi vengono chiusi affinché abbia luogo la ricarica delle falde elbane.
Per segnalare l’assurdità di tale affermazione ed al tempo stesso far presente i danni che questa pratica di gestione dell’acquedotto elbano, allego un profilo indicativo della locale situazione della falda artesiana .
Quello che traspare dallo schema è la dimostrazione che anche la falda dell’Isola d’Elba, come del resto accade in tutte le falde artesiane, è alimentata da grandi depositi idrici posti nelle zone montagnose ed a quote sul mare elevate essendo formati da enormi ammassi montani di materiale ghiaioso che sono in grado di accumulare grandi volumi di acqua piovana per restituirla nel tempo onde alimentare, tramite la falda artesiana funzionante in pressione, sorgenti e pozzi che sono ubicati a quote altimetriche notevolmente inferiori. Quando si asserisce, come apparso ripetutamente sui media locali, che i pozzi vengono chiusi durante il periodo invernale proprio per rimpinguare la falda, significa supporre una operazione assolutamente assurda perché basata sulla errata convinzione che l’acqua della falda, quando non è prelevata dalle pompe dei pozzi, risalga da sola verso l’alto fino ad accumularsi entro i citati ammassi ghiaiosi.
E’ invece da precisare una regola di tenore esattamente opposto a quella descritta. Infatti quando un pozzo viene chiuso, con la falda ricca di acqua, quest’ultima continua a scorrere ma cambia direzione essendo non più diretta verso il pozzo ma invece verso la sua destinazione originaria e cioè verso il mare. Si deve però rilevare che questa è un’operazione dannosa in quanto la modifica della rete di capillari entro i quali scorre in pressione l’acqua, comporta uno sconvolgimento con turbativa delle sabbie e dei limi che finiscono per intasare i filtri dei pozzi, a sconvolgere l’idrohgrafia sotterranea provocando talvolta delle frane più o meno grandi peggiorando notevolmente la rete della falda stessa e i filtri dei pozzi.
L’aspetto più grave è presentato dalla consuetudine invernale in atto all’Elba, non di chiudere qualche pozzo con cui i danni sarebbero irrisori ma di chiudere invece tutti o comunque la gran parte dei pozzi elbani e per un periodo così lungo, provocando una vera e propria rivoluzione dello scorrimento dell’intera falda con i gravi danni di cui si è detto .
La regola da rispettare per un buon esercizio dei pozzi è basata su concetti diametralmente opposti a quelli descritti e cioè sulla opportunoità di far funzionare i pozzi con una portata ed una depressione di falda il più omogenea e costante possibile e quindi evitando al massimo gli sconvolgimenti di cui si è detto
Quello che risalta nel caso dell’acquedotto dell’Isola d’Elba e che corrisponde abbastanza a tutto quello che accade nella maggior parte dei casi, è una faciloneria nella strategia di utilizzazione della falda giocando sul funzionamento delle pompe sommerse dei pozzi senza tener conto di alcuna regola.
Una ulteriore prova è data da quello che succede nei pozzi elbani e in particolare sulla depressione di falda che viene provocata dalle pompe durante il prelievo. Al riguardo nell’articolo del sito altratecnica.it La captazione d’aqua tramite pozzi profondi sono spiegate le modalità da seguire per non turbare la situazione dei pozzi e della falda. Al tempo stesso occorre rilevare come all’isola d’Elba si adottino delle regole di tutt’altro genere e le quali , nel mentre nella figura sopra riportata appaiono solo in maniera indicativa , in quella seguente sono messe in risalto le due diverse modalità di sfruttamento della falda.
Si può notare come, se si aumenta a dismisura la potenza della pompa, a seguito della notevole depressione di falda che ne deriva, si ottiene anche l’immissione di acqua del mare nella falda nei pozzi. E’ questo che, con grave errore , si intende fare all’Isola d’Elba miscelando l’acqua distillata e quindi non potabile che fornirà il dissalatore che sta per essere costruito a Mola dell’Isola d’Elba a quella , molto ricca di sali , estratta dai pozzi. Poco importa se, agendo in questo modo, si provoca il fenomeno molto negativo chiamato “intrusione del nucleo salino” con cui l’acqua salata del mare , oltre che transitare nella falda artesiana, si espande anche nei terreni agricoli danneggiandoli gravemente.
In conclusione nel presente articolo si mettono in rilievo due gravi inconvenienti che sono regolarmente commessi all’Isola d’Elba.
– la sospensione invernale del funzionamento dei pozzi elbani ubicati nelle aree di bassa quota dove, invece di attuare la ricarica di falda come predicato nei media elbani, non si fa altro che danneggiare i pozzi medesimi con ostruzione dei filtri ad opera dei limi e delle sabbie fini messe in movimento dal rivoluzionario metodo di prelievo con pompe sommerse dei pozzi Da questo la continua costruzione di nuovi pozzi che servono soltanto a sostituire quelli compromessi dalle ostruzione dei filtri di presa.
– promuovere l’intrusione del nucleo salino nella falda e nei terreni agricoli della zona dove verrà costruito il primo desalinizzatone con tutti i danni che ne derivano ai terreni stessi.