L’edificazione a Quero, ripresa e notevolmente incrementata in questi ultimi 50 anni, se da un lato ne ha aumentato l’importanza, dall’altro non è riuscita a mantenere le promesse della bella impostazione iniziale, essendo le nuove aree residenziali e industriali sorte in modo disordinato. Ne sono responsabili sia i privati che, come in molte alte parti d’Italia, accecati dal benessere economico, si sono preoccupati solo di edificare in ogni dove, e sia la pubblica amministrazione che non ne ha dettato per tempo le regole. Valga per tutti l’esempio della via Roma. Chi discende lungo tale via non manca di notare, sulla sinistra alla fine del suo lungo rettifilo, una costruzione che si distingue da tutte le altre per la sua ubicazione poco adatta al luogo. Si tratta del primo edificio per residenza popolare costruito a Quero dall’Ente allora preposto: l’Ina Casa.
E’ da notare come in quella zona esistesse una piazza nella quale in autunno aveva luogo la trebbiatura del grano prodotto dagli agricoltori di Quero e dei paesi vicini i cui carri ricolmi formavano lungo la via Roma una lunga fila in attesa del proprio turno. Più che di lavoro quelli erano dei momenti di festa nei quali gli agricoltori avevano modo di raccontarsi l’andamento dell’annata ed alla fine tornarsene a casa con il carro carico del grano e della paglia che rappresentavano il premio finale delle loro fatiche. Era per tutti uno spettacolo vedere quell’enorme macchinario color rosso mattone azionato da un trattore cui era collegato mediante una lunghissima cinghia di trasmissione e munito di un grande rostro superiore che con un continuo moto di sali e scendi, quasi fosse la testa di un grande drago, introduceva nel suo capace ventre i covoni di grano. Nella parte terminale, in basso, uscivano i regolari parallelepipedi delle balle di paglia legate con filo di ferro ed i sacchi di grano. In fondo alla piazza esisteva una monumentale fontana-abbeveratoio di forma ottagonale.
Nell’anno 1953 quando si presentò l’occasione d’avere anche a Quero una casa popolare, il comune, volendo economizzare nelle spese, decise di mettere tale piazza a disposizione dell’INA Casa per la nuova edificazione commettendo un duplice errore. Oltre a provocare l’irrimediabile ed imperdonabile perdita della piazza e della fontana, ne derivò un’area dalla forma irregolare poco adatta ad ospitare l’edificio e totalmente in contrasto con quelle regole d’impianto di base prima citate e su cui è conformato tutto il resto del paese. L’assurdità del misfatto appare ancora più evidente quando si pensi alla reale situazione di Quero in quegli anni nei quali una sola era la sua ricchezza: la grande disponibilità di terreni da poter destinare alla edificazione.
Nella nuova organizzazione urbanistica del capoluogo di Quero figura un elemento chiave: la piazza Marconi situata nel suo baricentro e sapientemente ricavata al posto del precedente piccolo slargo triangolare allora chiamato, eufemisticamente, Piazza Egidio Forcellini.Come si può notare dalla planimetria tale slargo, appunto perché di forma triangolare, era dotato di tre strade di accesso. Verso nord era collegato alla chiesa tramite la via Carniello ora chiamata Nazionale, verso sud vi si trovava la continuazione della Via Carniello medesima, mentre verso est esisteva una stretta viuzza di collegamento con la attuale via Piave. Una piccola parte di questa strada è tuttora esistente ed è quella che inizia subito a sud del Municipio per morire a ridosso della cabina di trasformazione dell’Enel. Io la conosco bene perchè confina con la casa dove sono nato e dove ho trascorso tutta la mia gioventù senza nemmeno immaginare che un tempo fosse una delle tre vie principali del paese. Vedendola ora si ha modo di rendersi conto di com’erano una volta le vie interne dell’abitato e di fare un significativo confronto con quelle attuali spaziose, rettilinee e munite di doppio marciapiede!.
La Piazza Marconi per conformazione e per la sua ubicazione baricentrica, aveva tutte le prerogative per diventare, così come è nella realtà accaduto, il polo di attrazione di tutto il paese dove, attraverso gli anni, si sono svolti mille giochi: di volta in volta è divenuta parco dei divertimenti con giostre e tirassegni, tracciato di appassionanti gimcane motociclistiche ed infine campo per tornei di calcio e di tamburello quello vero con pallina dura lanciata e rilanciata da un estremo all’altro del terreno di gioco. Durante il fascismo è stata sede di manifestazioni, sfilate e discorsi, in tempo di guerra, recintata con paletti rossi e fili di ferro, è stata coltivata a grano, mentre nell’immediato dopoguerra è diventata il quartier generale della truppa americana di liberazione. Col passar degli anni ha subito diverse trasformazioni, in parte documentate dalle foto allegate, passando da semplice spiazzo sassoso a campo coltivato, a giardino alberato con o senza fontana centrale ora ubicata di lato. Ai nostri giorni, dopo l’ennesima modifica, è diventata il salotto buono del paese con una arena centrale dove vengono spesso organizzati balli o spettacoli vari. Sotto una galleria di glicini è possibile oggi riposarsi nelle belle panchine che vi si trovano numerose. Si può affermare che la piazza Marconi sia stata la testimone più completa, fin dall’epoca della sua ricostruzione , delle alterne vicende di Quero e particolarmente di quelle che riguardano da vicino il presente racconto. Di fatto, durante la breve vita del cinema Prealpi, i queresi usavano ritrovarsi in piazza davanti al Caffè Centrale e da lì assistere all’afflusso degli spettatori che accedevano sempre più numerosi per vedere i bellissimi film dopoguerra, ad ascoltare il crepitare della macchina da proiezione ed il sonoro del film durante le proiezioni all’aperto. E’ infine da quel luogo che molta gente nell’anno 1964 assistette inerme al furioso incendio che pose fine alla vicenda cinematografica qui narrata.