Per introdurre un argomento difficile da trattare come i modi di amministrare la giustizia durante l’ultimo mezzo secolo, evado momentaneamente dal territorio di Quero e racconto quanto accadutomi a Belluno dove risiedevo, nei giorni feriali, per lavoro. Nella pensioncina, che mi ospitava tra l’altro assieme a due noti personaggi cioè Antonietta di Quero e Gianfranco di Mel diventati poi importante membro della DC Bellunese la prima e deputato a Roma il secondo, c’era anche Gino, un tipo spassoso. Un giorno Gino mi fece conoscere una sua vecchia zia molto povera che viveva di stenti ma in grande serenità in Via Mezzaterra a Belluno in un misero appartamentino sito in alto sotto i coppi. Egli avrebbe voluto regalare alla zia un fornellino elettrico di quelli rotondi con la resistenza a spirale in vista che le sarebbe stato utile per molti usi di cucina. Non lo poteva fare per non aggravare, con il maggior consumo di corrente elettrica che il fornellino avrebbe provocato, il suo magro bilancio. Aveva però notato che i due fili in rame che, privi di rivestimento isolante, fornivano la corrente elettrica agli appartamenti di via Mezzaterra, correvano paralleli e ad una distanza di una ventina di centimetri l’uno dall’altro proprio sotto la finestra della cucina della vecchia zia. Mi chiese quindi come si poteva fare per aiutarla. A Quero, nella falegnameria di mio padre, costruii allora un attacco formato da un asse di legno massiccio e pesante della lunghezza di una trentina di centimetri e munito inferiormente di due piastrine di rame collegate ad un cavo elettrico, ben protetto da isolamento esterno, che attraversava l’asse di legno tramite un forellino posto nella sua mezzeria per potersi poi collegare, verso l’alto, al fornello. Consegnato l’attacco alla zia che lo battezzò subito con il nome de “l’arte” le spiegammo come fare e cioè sporgersi alla finestra e, tramite il cavo, calare “l’arte” fino ad appoggiarlo trasversalmente ai due conduttori elettrici stradali lasciandovelo in quella posizione di collegamento con la linea elettrica per tutto il tempo che le serviva. La gioia della zia che, nella sua ingenuità non aveva idea di che cosa fossero la corrente elettrica e le regole per il suo uso, fu grande. Quando andavamo a trovarla ci diceva: un momento che attacco ” l’arte” e vi faccio il caffé!
L’uso del fornello, pur se attuato con modalità così singolari, andò bene, come mi è stato poi riferito da Gino, per un paio d’anni durante i quali era diventato per la vecchietta una piacevole consuetudine. Poi la “SBIE” Società di distribuzione dell’energia elettrica bellunese ne venne a conoscenza e mandò due incaricati nella casa a verificare. Come entrarono e si qualificarono, lei, come d’abitudine, disse: aspettate un momento che attacco l’arte e vi faccio il caffé, facendo seguito, di fronte agli attoniti funzionari, con l’abituale procedura elettrica! Le modeste condizioni economiche e l’ingenuità del personaggio fecero però breccia nel cuore degli incaricati i quali, d’accordo con la direzione della locale società elettrica, usarono la massima clemenza limitandosi a requisire l’originale attrezzo impedendo soltanto alla vecchietta di continuare nell’uso dell’ “arte”.
Interessante rilevare come, in tutta la vicenda della zia di Gino, trovi conferma un aspetto della comunità di allora che arrivava a giustificare azioni tutt’altro che lecite come quella descritta che costituiva un vero e proprio furto di energia elettrica a fronte della necessità impellente di far fronte ai problemi troppo grandi che assillavano tutti come poteva essere, nel caso particolare, la grande povertà in cui versava la zia di Gino. Ne è riprova il fatto che il nostro gesto, allora raccontato ad Antonietta e Gianfranco cioè ai due personaggi prima citati e che, sia per il posto che occupavano nella società sia per il loro alto valore morale, avrebbero dovuto biasimare il nostro operato ma che invece lo condivisero in toto. In maniera analoga tutta la vicenda seppe ottenere, come già detto, anche la comprensione dei funzionari incaricati del controllo tanto da indurli a non comminare alla vecchietta la sanzione di rigore. Ancora più importante rilevare come nei tempi moderni accada, paradossalmente, proprio il contrario. Le illegalità di modesta entità, essendo facilmente comprovate perché commesse da gente semplice e priva di particolari protezioni, sono oggi punite con grande severità nel mentre i grandi e grandissimi illeciti, ivi compresi quelli che vanno sotto il nome di tangentopoli o addirittura gli assassini, spesso mascherati da torbide azioni politiche, restano impuniti.
Guai a chi, per sopravvivere, ruba le galline ! Troverà un apparato giudiziario severissimo!
Da segnalare, tra molti, due esempi che calzano a pennello. Quando, nel 1997, dei bontemponi hanno scalato il campanile di S. Marco a Venezia, hanno compiuto un’azione illecita che è poco più di una goliardata. Il loro “carro armato” l’ormai famoso “Tanko” era nient’altro che un camion agricolo malamente camuffato con delle lamiere e con una bocca da fuoco ( un cannone o un lanciafiamme? ) che in realtà era uno spezzone di tubo d’acquedotto. Come li hanno arrestati, senza fatica perchè l’unica loro arma era una vecchio mitra arrugginito che non poteva assolutamente sparare, li hanno trovati in possesso di alcune fette di polenta, una bottiglia di grappa (la sgnapa) ed un compasso. Mi sono sempre chiesto cosa se ne facevano del compasso in cima al campanile! A mio avviso se li avessero condannati a tre mesi di prigione per far capire che azioni di quel genere non devono essere fatte, avrebbero fatto bene. Invece hanno imposto loro di scontare una pena durissima, spropositata se paragonata al poco male compiuto.
Ora il Tanko è stato ricomprato all’asta per 7000 Euro da un comitato che pensa di esporlo nelle fiere a ricordo di quella epica vicenda. Ma all’asta aveva partecipato anche il sindacato di polizia che disponeva di 1800 euro per comprarlo allo scopo di dimostrare che ” è più efficiente di certi nostri mezzi”. Come si vede siamo sempre in tema di goliardia.
Dall’altro lato c’è l’esempio di coloro che avrebbero abbattuto (sembra proprio si tratti di un abbattimento volontario!) l’aereo di Ustica con morte di un’ottantina di innocenti, nel quale si è fatto di tutto per nascondere la verità e lasciare che gli autori di quell’autentico crimine girino impuniti!
Mi preme segnalare, pur se relativo ad anni successivi rispetto a quelli specifici della mostra storia, un altro avvenimento singolare riferito sempre alla giustizia Italiana e che inciderà profondamente sui queresi. Negli anni 1973-1974 Quero sarà investito da una miriade di cause penali per abusi edilizi commessi in tutto il territorio comunale. Il modo di fare dei queresi un po’ leggero nel rispettare le leggi, sicuramente contemplava delle irregolarità nelle molte costruzioni edilizie realizzate in quel periodo, ma dai casi sporadici effettivamente verificatisi fino ad arrivare a svariate centinaia di cause penali su una popolazione totale di Quero pari a circa 2500 persone, a mè sembra una enormità. Prova ne sia che, dopo un lungo periodo tragico passato dalla quasi totalità della popolazione imputata di veri e propri delitti con sequestro di uffici e documentazioni varie, un bel giorno si decise di metterci una pietra sopra chiudendo l’intera questione con un nulla di fatto. C’è stata però una persona che ha dovuto sopportare il peso dell’intera operazione ed in modo così pesante da comprometterne la salute. Si tratta di Gigi, allora sindaco di Quero, primo imputato di tutte le centinaia di cause e che sicuramente avrebbe meritato una riconoscenza migliore da parte della popolazione alla quale, grazie a lui, è stato data una facoltà di costruire così ampia da provocare il citato intervento della magistratura. Come dicevo la parte peggiore è toccata sopratutto a Gigi che, è questo un aspetto importante, non ne ha ritratto alcun beneficio economico personale ma solo danni soprattutto alla sua salute che da quel periodo in poi è risultata gravemente compromessa. Personalmente voglio qui ringraziare Gigi, venuto recentemente a mancare, per tutto quello che ha fatto per Quero e quindi anche per mè.
Il quadro finale della giustizia italiana visto attraverso le esperienze di un piccolo paese qui raccontate, ha una base a tinte fosche con molti casi di mala gestione che in questi tempi rimane impunita nel mentre sono i piccoli reati a trovarvi giudici severissimi. Ben diversa la situazione di un tempo qui rappresentata da episodi di piccola entità ma sufficienti per mettere in risalto un diverso e più umano modo di concepire ed applicare le leggi.