Carlo, il personaggio di cui farò un breve cenno anche al cap. 5.4 era un bravo meccanico ed autotrasportatore in proprio con un vecchio camion Fiat 26 alimentato a gasogeno la cui attività si svolse prevalentemente nell’anteguerra e durante il periodo bellico ma fu caratterizzata da un evento dell’immediato dopoguerra che voglio qui comprendere per l’importanza che rappresentò per la vita d’altri tempi di Quero.
Carlo, finita la guerra, pensò di realizzare un progetto che da tempo aveva in mente: costruire un cambio per vetture di nuova e rivoluzionaria concezione. Abitava allora a Quero, mio zio Mario un tipo genialoide anche lui e preparato tecnico al quale Carlo chiese aiuto per la compilazione dei disegni e dei documenti da presentare all’ufficio competente per ottenere il brevetto della sua invenzione in tutta l’Italia. Fu proprio grazie a mio zio che potei prendere visione dei disegni ed anche del prototipo del cambio montato da Carlo sulla sua Fiat 1100 e perfettamente funzionante. Ne ricordo tutti i dettagli per l’entusiasmo che Carlo con la sua trovata aveva suscitato in paese, entusiasmo più che giustificato dalla novità rappresentata allora dal progresso tecnico che sentivamo essere prepotentemente in arrivo e particolarmente dall’automobile che ne era l’innovazione più ambita da tutti. Il nuovo cambio, frutto dell’ingegno di un nostro compaesano e che per le sue grandi doti di praticità e funzionalità constatate da noi tutti, pensavamo avrebbe ottenuto unanimi consensi e grande diffusione, ci faceva sognare! Ricordo molto bene il giorno della prima prova pratica dell’invenzione. Nonostante la sua parte principale e cioè la camme di movimento degli ingranaggi delle marce fosse stata costruita in legno, il cambio funzionava perfettamente e Carlo, quasi impazzito dalla gioia, offriva da bere a tutti. Era tanto l’entusiasmo di cui ho detto, che ricordo fin nei minimi particolari come funzionava il dispositivo. Il suo pregio principale era quello di aver eliminato la leva del cambio avendo affidato al pedale della frizione anche il compito del passaggio da una marcia all’altra. Premendo a fondo tale pedale si ottenevano, con un solo movimento, due scopi: nella prima parte della sua corsa lo stacco della frizione e nella seconda l’innesto di una marcia di ordine superiore o, a piacere, inferiore. La piastra di appoggio del piede sul pedale era basculante per dar modo di scegliere la marcia più alta o quella più bassa a seconda cha la pressione del piede venisse esercitata sul suo lato destro o su quello sinistro. In pratica per partire in prima marcia era sufficiente premere a fondo il pedale della frizione e poi rilasciarlo piano piano come si usa fare normalmente. Raggiunta una certa velocità, una nuova pressione inseriva la seconda e poi, in modo analogo la terza e la quarta compiendo, al tempo stesso, i dovuti stacchi e riattacchi della frizione. Stessa manovra per scalare le marce con la sola avvertenza di spostare lateralmente il piede. Come ho già detto, la macchina di Carlo, da lui modificata con l’aggiunta del suo cambio, costituiva la prova evidente di un nuovo modo di guidare molto semplice e pratico. Questo indubbio successo provocò una vera rivoluzione nella vita di Carlo che, abbandonato il suo normale lavoro di camionista assai duro per le condizioni in cui doveva allora svolgersi e cioè usando un vecchio camion pieno di acciacchi e per giunta alimentato a gasogeno, dedicò tutto il suo tempo e tutte le sue disponibilità economiche al lancio commerciale del suo brevetto con risultati praticamente nulli anzi provocando il dissesto economico di un’attività artigianale che, prima dell’avventurosa e geniale invenzione, era buona.
Visto a posteriori anche l’episodio di Carlo contribuisce a completare il quadro rappresentativo dei tempi andati, tempi di grandi prospettive soprattutto nel campo della tecnica, ma molto difficili da capire e da seguire nella loro rapida evoluzione. Carlo non avrebbe dovuto lasciarsi prendere da un entusiasmo eccessivo che gli ha fatto travisare la realtà, ma restare invece ancorato al suo modo di vivere e al suo normale lavoro e, senza abbandonare la sua attività, dare incarico a persone competenti del lancio commerciale della sua idea. Come ho già detto l’avventura non ebbe affatto un lieto fine: l’inventore dovette provare, oltre alle cocente delusione della totale assenza di applicazioni reali del suo brevetto, anche il dispiacere del proprio dissesto economico. Tutto questo costituisce un monito per tutti coloro che si trovano, come Carlo, davanti a quella che sembra essere ed in effetti è una improvvisa fortuna ma che, se non presa nel verso giusto, si trasforma in un grave danno sopratutto in presenza di soggetti comuni come eravamo noi tutti. Non è raro l’esempio di persone che, venute per caso in possesso di ingentissimi capitali, non li hanno saputo amministrare ma, accecati dall’entusiasmo, hanno fatto come Carlo dilapidando in breve tutto quello che avevano prima dell’arrivo della improvvisa fortuna.