Volendo descrivere un altro passatempo poco ortodosso cui dedicavamo parecchio tempo, si potrebbe parlare delle discese in bicicletta da Quero al ponte di Fener caratterizzate da una risalita, per molteplici versi, assai originale. Noi giovani, percorsa a folle velocità la ripida e tortuosa discesa, allora completamente priva di traffico veicolare, per risalire in paese restavamo in tranquilla attesa di un camion che, a causa della forte pendenza della strada e della scarsa potenza del motore data dalla scadente qualità di carburante utilizzato e cioè dal gas assai povero ricavato, tramite una particolare combustione, da comune legna da ardere, percorrevano il ripido tratto a bassa velocità. Diventava quindi per noi estremamente facile rincorrere con le nostre bici l’autocarro e, aggrappati al suo cassone posteriore, farci trainare dal ponte sul Tegorzo di Fener fino alla chiesa di Quero cioè per tutta l’estensione della salita. Una volta arrivati al culmine aveva immediatamente inizio una nuova spericolata discesa. Il ciclo si ripeteva più e più volte. Assai spesso quelli da noi utilizzati per il traino erano camion addetti al trasporto della frutta che viaggiava contenuta entro cassette di legno prive di alcuna protezione. Era quella l’occasione buona per un abbondante rifornimento di mele, pere, arance e, alcune volte durante le torride estati, di angurie e meloni che, per il loro notevole ingombro, ci costringevano a sospendere il viaggio e, seduti sull’erba, consentivano di dissetarci con questi ottimi e incautamente approvvigionati frutti. Il colmo si verificò quando uno di questi ultimi, sfuggitoci di mano, cominciò a rotolare lungo la strada provocando l’arresto del veicolo da parte del camionista e l’immediata fuga salvatrice dei ladruncoli con abbandono del bottino. Particolarmente ambito era il rifornimento, attuato sempre con le modalità descritte, di una bibita, la gassosa, che oltre che a spegnere la sete, offriva un’altra importante possibilità. Il contenitore era infatti costituito da una bottiglia in vetro con il collo tappato da una pallina anch’essa di vetro di circa un centimetro di diametro spinta lungo il collo stesso dalla pressione interna del gas sciolto nella bibita. Una volta bevuto il contenuto, ricuperavamo la pallina rompendo la bottiglia che di norma si sarebbe invece dovuta restituire al rivenditore, per utilizzarla nei nostri giochi, ad esempio quale ottimo proiettile per la fionda.
Anche questa pratica ciclistica non fu priva di cattive conseguenze. Una malaugurata volta Lino, che successivamente eserciterà per molti anni la professione di barbiere a Quero, decise di fare la discesa portando nella sua bici anche l’amico Gino, con drammatiche conseguenze. La eccessiva velocità acquisita dal velocipede a causa del maggior carico, lo rese assolutamente incontrollabile ed i due, non riuscendo a compiere correttamente l’ultima curva a 90 gradi che in fondo alla discesa immette nel ponte sul torrente Tegorzo, saltarono invece il parapetto di quest’ultimo compiendo un volo di oltre 10 metri. Salvarono la vita per miracolo ma non la gamba destra di Lino che portò rigida e dritta per tutta la vita. Uno strano destino aveva accomunato questi due amici che, poco tempo dopo, moriranno ambedue ancor giovani e, sia pur in circostanze diverse, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Infatti Gino venne colpito alla testa durante il lavoro dalla mortale caduta di una pietra non più di una settimana dopo aver lasciato il cantiere del Vaiont in cui prestava la sua opera per venire a Quero al funerale dell’amico e compagno di sventura Lino.