Ad un certo punto percepimmo chiaramente che la tragica situazione in cui ci aveva condotto la guerra stava per finire e che era in arrivo il momento magico della liberazione. Lo si sentiva nell’aria per il rarefarsi di quella tensione che ci stava opprimendo. I tedeschi non si facevano più vedere. Tutte le sere un piccolo aereo che seguiva il fronte, passava e ripassava, indisturbato a bassa quota, sopra le nostre teste, con un rumore monotono e lento. Nonostante si stessero trascorrendo momenti tragici il buonumore non era venuto completamente a mancare e qualcuno pensò di battezzare quell’aereo con un nomignolo simpatico che entrò subito nel parlare corrente: Pippo. Abbandonato ogni timore imparammo a considerare Pippo un amico che, man mano che percorreva l’Italia da sud a nord, preannunciava zona per zona l’avvicinarsi della liberazione. Vedevamo le colonne di tedeschi in fuga. Prima di fuggire avevano bruciato i documenti della gendarmeria sita nella villa Forcellini. Era rimasto solo un soldato tedesco che faticava a camminare perché sciancato dalla nascita. La popolazione gli voleva bene e qualcuno lo aveva accolto in casa propria per nasconderlo. Si salvò e successivamente poté rimpatriare tranquillamente. Noi giovani di 13-15 anni ci chiedevamo come gli americani potessero arrivare in paese visto e considerato che i tedeschi avevano fatto saltare il ponte di Fener sul torrente Tegorzo e quindi reso impossibile il traffico con mezzi di trasporto. Un bel giorno accorremmo, tra un crepitare di mitragliatrici, a vedere una strana macchina che credevamo un carro armato ma che invece era un comune caterpillar cingolato che aprì in breve una pista da Fener alla località S. Valentino, attraverso il Tegorzo per finire a Quero e ricreare in breve la continuità viaria consentendo alle truppe di arrivare anche nel nostro paese.
Per un’intera giornata noi abitanti del centro abitato restammo rintanati nella cantina dell’unico edificio con solai in cemento armato e che ritenevamo quindi il più sicuro e cioè il municipio, mentre fuori era un continuo sparo di fucili e di mitragliatrici diretti contro non si sa a chi e non si sa dove. Poi, finalmente il silenzio. Uscimmo dall’improvvisato rifugio per vedere le prime truppe americane risalire lungo Via Nazionale.
E’ stata ancora la piazza Marconi il teatro dove il dott. Marchesi accolse le truppe americane sventolando la bandiera italiana. Fu quello un momento veramente felice il cui ricordo è ancora vivo in mè con il suo carico di speranze per un futuro che il mio entusiasmo giovanile faceva apparire molto promettente. La realtà si rivelerà, negli anni seguenti, ancora migliore delle più rosee aspettative.